La nostra storia
La storia degli sbandieratori e dei musici ha radici che affondano nelle profondità del tempo, storia dai tratti affascinanti e peculiari. Svolazzii e ritmi, prima protagonisti in guerre, oggi spettacolo folkloristico. In questa pagina ripercorreremo brevemente sia le origini di questo antico e pressocché sconosciuto mestiere, sia le origini del nostro borgo.
Gli sbandieratori e i musici
Fin dall’antichità i popoli hanno sentito il bisogno di creare vessilli che unissero idealmente e materialmente la gente di un dato territorio, simbolo sotto il quale identificarsi, vivere pacificamente e combattere per la patria. Pensando all’epoca romana le legioni, durante i loro spostamenti, erano precedute dalle insegne e, dall’altra parte, i popoli germanici usavano come riconoscimento una striscia di panno o di pelle detta “banda”, termine dal quale con molta probabilità deriva il termine odierno bandiera.
Proprio perché considerate segno distintivo di un popolo, le bandiere hanno subìto notevoli trasformazioni nel corso dei secoli, sia nella forma che nel contenuto, adeguandosi così alle esigenze del momento, alle persone e alle associazioni di diversa natura. I colori e segni che ancora oggi troviamo impressi sulle bandiere simboleggiano il passato di un popolo, i riti, gli onori e le battaglie vissute, creando così un patrimonio significativo e una precisa identità di popolo in cui distinguersi.
La tradizione vuole che i popoli orientali per primi inaugurarono il gioco della bandiera. Oltre che a rispettare i vessilli spesso si esibivano con bandiere dall’asta molto lunga e un drappo di seta così da poter dare movimento all’insegna e, grazie a precisi movimenti nello spazio e della scena, dare vita a coreografie mobili e variabili nel colore in un’atmosfera quasi irreale.
Diversamente, in Europa gli sbandieratori riscoprono le loro origini nei movimenti coordinati dell’alfiere nelle battaglie medioevali. L’alfiere precedeva spesso gli altri soldati per segnalare in lontananza, tramite movimenti precisi in sequenza, lo stato d’avanzamento del nemico, segnale interpretato dal resto del proprio esercito con l’aiuto anche dei tamburini, i quali con rullante e timpano avevano il compito di battere il ritmo dell’avanzamento del gruppo. Nel momento in cui il vessillifero era costretto però a difendersi, esso lanciava il drappo ad un altro vessillifero per tenerlo in salvo mentre gli altri alfieri, sbandierando, cercavano di distogliere il nemico dall’obbiettivo principale. Si parla dunque di veri e propri soldati sottoposti a duri allenamenti e simulazioni di battaglie, addestrati a mantenere segreta la codifica dei movimenti, diversa da esercito ad esercito, anche se sottoposti a tortura. Soldati che, in tempo di pace, si esibivano in vivaci parate e feste per rallegrare le vie del proprio paese.
Per trovare una definizione più simile all’odierna di gioco della bandiera occorre arrivare al XIV secolo, quando gli eserciti di molti paesi gareggiavano per dimostrare la loro bravura nel costruire coreografie sorprendenti. L’arte dello sbandieratore divenne così importante in quel secolo da ispirare codificazioni di movimenti e precise norme per gli esercizi, con lo scopo di indirizzare gli alfieri al massimo dell’eleganza.
Oggi sbandierare nei pali e nelle feste significa riproporre questi stili: le figure create nei vari passaggi, detti “fioretti”, grazie anche al contributo della musica intonata dai tamburi, dalle trombe e dalle chiarine, non sono fini a sé stesse, ma parte di un racconto che tessono con l’ambiente circostante e le persone presenti un continuo dialogo in memoria degli eventi passati.
Il Borgo
La storia del nostro borgo può essere raccontata a partire dal nostro stemma: uno scudo diviso orizzontalmente negli smalti rosso e turchino con nel centro una moneta dorata solcata dalla scritta “Borgh Dij Patin e Del Tesor” (ovvero “Borgo delle Ciabatte e del Tesoro”) e dal disegno stilizzato di una ciabatta. Questo perché il territorio che rientra nel borgo anticamente ospitava laboratori di metalli preziosi e calzolai di prestigio che vendevano sulla via Maestra (Via Vittorio Emanuele) e nella zona della porta di San Martino. Da qui la scelta di rappresentare quest’area con una moneta d’oro, espressione della ricchezza degli abitanti, e una calzatura così povera come una ciabatta, simbolo dell’umiltà della gente che, nonostante le possibilità, non ostentava le proprie ricchezze.
Passeggiando per le vie del centro è facile rintracciare i confini del borgo: partendo da Piazza Michele Ferrero (ex Piazza Savona) e percorrendo la Via Maestra (Via Vittorio Emanuele) il borgo si estende sulla parte destra del centro, in maniera opposta al Borgo San Martino, fino alla chiesa di Ss. Cosma e Damiano, altezza alla quale si dirama verso est Via Paruzza, confine nord condiviso con il Borgo San Lorenzo. A sud il confine è tracciato dalla ferrovia (non più in funzione) che collega Alba a Neive e Castagnole delle Lanze, confine condiviso con il Borgo Santa Barbara, mentre ad est continua fino al raggiungimento della campagna.
In origine però, quando rinacque il Palio degli Asini, il borgo si chiamava Neolitico per ricordare gli insediamenti preistorici ritrovati in Alba e conservati presso il Museo Federico Eusebio, ma era anche già noto come borgo del Bonòm e del Tesòr e rientra tra i primi 6 borghi partecipanti al moderno palio. Si deve anche ricordare che nel 1967 il "Borgo dei Patin e dei Tesor" fu l’unico ad avere già gli sbandieratori, tradizione che grazie al forte impegno dei più giovani continua.